Titolo originale: The Hope of Elantris
2006 by Brandon Sanderson
Traduzione di zizzoz
2014 by BookVertigo
Presentazione
Quello che segue è un racconto ambientato nel mondo di Elantris che ho scritto nel Gennaio del 2006. All’epoca,Elantris era uscito nei negozi solo da sette o otto mesi, ma in realtà non avevo scritto nulla di nuovo su quella storia o quel mondo fin dal 2000, quando avevo terminato la prima bozza del libro originale. Questo racconto originariamente era stato messo in vendita su Amazon.com; quando il contratto con loro si è concluso, l’ho pubblicato qui (nel sito ufficiale, ndr).
C’è sempre stato qualche buco nel manoscritto dove avevo deciso, per renderlo più fluido, di non includere punti di vista o sezioni esplicative, in particolare nel finale. Ma dentro di me, io sapevo cos’era successo. Questo racconto parla di uno di quei buchi; è destinato ad essere letto dopo il romanzo e si svolge durante il culmine degli eventi. Nelle note ho scritto un’ulteriore spiegazione del perché ho scritto questo pezzo. Alcuni di voi potrebbero trovare interessante leggerlo prima; l’ho messo nelle note, comunque, perché so che altri preferiscono godersi il racconto senza anticipazioni, perciò i miei pensieri leggeteli dopo. Ad ogni modo, se non avete letto il romanzoElantris, qui sono contenute importanti anticipazioni. Posso suggerire di leggere prima il libro? Altrimenti questo racconto non avrà per voi alcun significato.
Come sempre, grazie per la lettura!
Brandon Sanderson
La Speranza di Elantris
«Mio signore,» disse Ashe, fluttuando all’interno attraverso la finestra. «Lady Sarene implora il vostro perdono. Sarà un po’ in ritardo per cena.»
«Un po’?» chiese Raoden, divertito, mentre si sedeva a tavola. «Si suppone che la cena dovesse iniziare un’ora fa.»
Ashe pulsò leggermente. «Sono spiacente, mio signore. Ma… lei mi ha fatto promettere di trasmettere un messaggio se vi foste lamentato. “Digli,” ha detto, “che sono incinta ed è colpa sua, il che significa che deve fare quello che voglio io.”»
Raoden rise.
Ashe pulsò di nuovo, sembrando imbarazzato – per quanto poteva esserlo un Seon, considerando che era solo una sfera di luce.
Raoden sospirò, appoggiando le braccia sul tavolo del suo palazzo all’interno di Elantris. Le pareti intorno a lui brillavano di una debole luce, e non erano necessarie torce o lanterne. Era sempre stato incuriosito dall’assenza di supporti per lanterne ad Elantris. Una volta Galladon gli aveva spiegato che c’erano piastre fatte per emettere luce una volta premute – ma tutti e due si erano semplicemente dimenticati di quanta luce provenisse dalle pietre stesse.
Abbassò lo sguardo sul piatto vuoto. Una volta lottavamo duramente anche solo per un pezzetto di cibo, pensò. Ora è dato talmente per scontato che possiamo passare un’ora ad oziare prima di mangiare.
Tuttavia, il cibo era abbondante. Raoden stesso poteva trasformare i rifiuti in ottimo cereale. Nessuno ad Arelon avrebbe più patito la fame. Eppure, pensare a queste cose riportò i suoi pensieri a Nuova Elantris, e alla semplice pace che aveva forgiato in città.
«Ashe,» disse Raoden, mentre gli veniva in mente un pensiero improvviso. «Avevo intenzione di chiederti una cosa.»
«Ma certo, Vostra Maestà.»
«Dov’eri in quelle ultime ore prima che Elantris venisse risanata?» gli chiese Raoden. «Non ricordo nulla di te per la maggior parte della notte. In effetti, l’unica volta che ricordo di averti visto è quando sei venuto a dirmi che Sarene era stata rapita e portata a Teod.»
«È vero, Vostra Maestà.» disse Ashe.
«E quindi, dov’eri?»
«È una lunga storia, Vostra Maestà,» disse il Seon, fluttuando giù a fianco della sedia di Raoden. «È iniziata quando Lady Sarene mi mandò a precederla a Nuova Elantris, per avvertire Galladon e Karata che stava inviando loro un carico di armi. È stato proprio prima che i monaci attaccassero Kae, ed io andai a Nuova Elantris, completamente all’oscuro di quello che stava per accadere…»
Matisse badava ai bambini.
Quello era il suo lavoro, a Nuova Elantris. Tutti dovevano avere un lavoro; era quella la regola di Spirito. Non le spiaceva il suo lavoro – anzi, le piaceva parecchio. Lo aveva fatto per molto tempo prima che arrivasse Spirito. Sin da quando Dashe l’aveva trovata e riportata al palazzo di Karata, Matisse si era occupata dei piccoli. Le regole di Spirito l’avevano solo reso ufficiale.
Sì, le piaceva il suo compito. Il più delle volte.
«Dobbiamo proprio andare a letto, Matisse?» le chiese Teor, rivolgendole il suo migliore sguardo ad occhi sgranati. «Non possiamo stare alzati, solo questa volta?»
Matisse incrociò le braccia, inarcando un glabro sopracciglio verso il ragazzino. «Ieri hai dovuto andare a letto a quest’ora,» osservò lei. «E il giorno prima. E, per la verità, il giorno ancora prima. Non vedo perché pensi che oggi dovrebbe essere diverso.»
«Sta succedendo qualcosa,» disse Tiil, affiancandosi all’amico. «Gli adulti stanno tutti disegnando Aon.»
Matisse guardò fuori dalla finestra. I bambini – i cinquanta o giù di lì di cui si prendeva cura – si trovavano in un edificio con le finestre aperte chiamato il “Trespolo” a causa delle intricate incisioni di uccelli sulla maggior parte delle pareti. Il Trespolo si trovava vicino al centro della città-nella-città – vicino alla casa di Spirito, la cappella Korathi dove teneva la maggior parte delle sue importanti riunioni. Gli adulti volevano sorvegliare i bambini da vicino.
Sfortunatamente, questo significava che i bambini avrebbero sorvegliato da vicino gli adulti. Fuori dalla finestra, lampi di luce scintillavano da centinaia di dita che tracciavano Aon nell’aria. Era tardi – i bambini non avrebbero dovuto essere ancora in piedi – ma questa notte era stato particolarmente difficile metterli a letto.
Tiil ha ragione, pensò. Sta succedendo qualcosa. Il che, comunque, non era affatto un motivo per permettergli di restare alzato – specialmente perché più lui rimaneva sveglio e più le ci sarebbe voluto prima di poter uscire lei stessa ad indagare.
«Non è nulla,» disse Matisse, tornando a guardare i bambini. Per quanto alcuni di loro si fossero addormentati fra le lenzuola vivacemente colorate, molti si erano rianimati e stavano osservando Matisse che affrontava i due piantagrane.
«A me non sembra “nulla”,» le disse Teor.
«Beh,» disse Matisse, sospirando. «Stanno tracciando Aon. Se siete così interessati, suppongo si possa fare un’eccezione e permettervi di restare in piedi… presumendo che vogliate esercitarvi a scrivere Aon. Sono sicura di poter improvvisare un’altra lezione stasera.»
Teor e Tiil impallidirono entrambi. Disegnare Aon era quello che si faceva a scuola (Spirito li aveva costretti a frequentarla di nuovo). Matisse sorrise maliziosamente tra sé mentre i due ragazzini indietreggiavano.
«Oh, andiamo,» disse loro. «Prendete carta e penna. Possiamo disegnare l’Aon Ashe un centinaio di volte.»
I ragazzini colsero l’antifona e tornarono a scivolare nei rispettivi letti. Dalla parte opposta della stanza, diversi altri operatori si stavano muovendo fra i bambini, accertandosi che dormissero. Matisse fece altrettanto.
«Matisse,» disse una voce. «Non riesco a dormire.»
Matisse si girò verso una bambina che era seduta fra le coperte. «Come fai a saperlo, Riika?» disse Matisse, con un lieve sorriso. «Ti abbiamo appena messo a letto – non hai ancora provato a dormire.»
«Lo so che non ci riesco,» disse la ragazzina, sfrontata. «Mai mi raccontava sempre una storia prima di dormire. Se non lo fa, non ci riesco.»
Matisse sospirò. Di rado Riika dormiva bene – specialmente le notti quando chiedeva del suo Seon. Lui era impazzito, naturalmente, quando Riika era stata presa dallo Shaod.
«Mettiti giù, tesoro,» le disse dolcemente Matisse. «Vedi se arriva il sonno.»
«Non verrà,» disse Riika, ma si mise giù.
Matisse terminò i suoi giri, poi andò alla parte anteriore della stanza. Lanciò un’occhiata alle sagome rannicchiate – molte delle quali ancora si agitavano e muovevano – e ammise di provare la loro stessa apprensione. Questa notte c’era qualcosa che non andava. Lord Spirito era scomparso, e anche se Galladon aveva detto loro di non preoccuparsi, Matisse lo trovava inquietante.
«Cosa stanno facendo lì fuori?» sussurrò alle sue spalle Idotris.
Matisse guardò fuori, dove molti degli adulti stavano intorno a Galladon, disegnando Aon nella notte.
«Gli Aon non funzionano,» disse Idotris. L’adolescente era, forse, due anni più vecchio di Matisse – non che cose simili avessero alcuna importanza ad Elantris, dove tutti avevano la pelle dello stesso grigio chiazzato, i capelli flosci o erano semplicemente calvi. Lo Shaod tendeva a rendere difficile stabilire l’età.
«Non c’è motivo per non esercitarsi con gli Aon,» disse Matisse. «C’è potere in essi. Lo si può vedere.»
Infatti, c’era potere dietro gli Aon. Matisse era sempre riuscita ad avvertirlo infuriare dietro le linee di luce disegnate nell’aria.
Idotris sbuffò. «Inutile,» disse, incrociando le braccia.
Matisse sorrise. Non era certa che Idotris fosse sempre così burbero, o se tendeva ad esserlo solo quando lavorava al Trespolo. Il fatto che lui, in quanto giovane adolescente, fosse stato destinato all’assistenza dell’infanzia piuttosto che essere autorizzato ad unirsi ai soldati di Dashe non sembrava piacergli.
«Resta qui,» gli disse lei, allontanandosi dal Trespolo verso il cortile dove si trovavano gli adulti.
Idotris grugnì semplicemente nel suo solito modo, sedendosi per essere certo che nessuno dei bambini scivolasse fuori dal dormitorio, annuendo a qualche altro ragazzo che aveva terminato il proprio incarico.
Matisse si aggirava per le strade di Nuova Elantris. La sera era fresca, ma il freddo non la impensieriva. Era uno dei vantaggi di essere un’Elantriana.
Sembrava essere una dei pochi che riuscivano a vedere le cose a quel modo. Gli altri non ritenevano un “vantaggio” essere un Elantriano, non importa cosa diceva il Lord Spirito. Per Matisse, invece, le sue parole avevano senso. Ma forse quello aveva a che fare con la propria situazione. All’esterno, lei era stata una mendicante – aveva passato la vita ad essere ignorata e a sentirsi inutile. Invece, all’interno di Elantris lei era necessaria. Importante. I bambini guardavano a lei, e lei non doveva preoccuparsi di mendicare o rubare il cibo.
Vero, le cose erano state ben peggiori prima che Dashe l’avesse trovata in un vicolo fangoso. E c’erano le ferite. Matisse ne aveva una sulla guancia – un taglio che si era fatta subito dopo l’ingresso ad Elantris. Bruciava ancora con lo stesso dolore di quando se l’era fatta. Tuttavia era un piccolo prezzo da pagare. Al palazzo di Karata, Matisse aveva avuto il suo primo vero assaggio di utilità. Quel senso di appartenenza era solamente cresciuto quando Matisse – insieme al resto della banda di Karata – si era spostata a Nuova Elantris.
Naturalmente, aveva ottenuto qualcos’altro nell’essere gettata dentro ad Elantris: un padre.
Dashe si girò, sorridendo alla luce della lanterna mentre l’osservava avvicinarsi. Non era il suo vero padre, ovviamente. Era stata orfana anche prima che lo Shaod la prendesse. E, come Karata, Dashe era una sorta di genitore per tutti i bambini che avevano trovato e portato al palazzo.
Però Dashe pareva provare un affetto particolare per Matisse. Il rude guerriero sorrideva di più quando c’era in giro Matisse, e lei era l’unica che lui chiamava quando aveva bisogno che venisse fatto qualcosa d’importante. Un giorno, aveva semplicemente iniziato a chiamarlo Padre. Lui non aveva mai obiettato.
Le posò una mano sulla spalla mentre lei lo raggiungeva al margine del cortile. Di fronte a loro, un centinaio di persone muovevano le braccia pressoché all’unisono. Le loro dita si lasciavano dietro nell’aria delle linee luminose – le tracce luminose che una volta producevano le magie di AonDor. Galladon fronteggiava il gruppo, gridando istruzioni nel suo strascicato accento Dula.
«Non avrei mai pensato di vedere il giorno che quel Dula avrebbe insegnato gli Aon alla gente,» disse calmo Dashe, con l’altra mano posata sul pomello della spada.
Anche lui è teso, pensò Matisse. Sollevò lo sguardo. «Sii gentile, Padre. Galladon è un brav’uomo.»
«È un brav’uomo, forse,» disse Dashe. «Ma non è uno studioso. Sono più le linee che ha sbagliato delle altre.»
Matisse non gli fece notare che Dashe stesso era davvero terribile quando si trattava di tracciare Aon. Lo guardò di sottecchi, notando le labbra tese. «Sei preoccupato perché Spirito non è ancora tornato,» gli disse.
Dashe annuì. «Dovrebbe essere qui, con la sua gente, non a dare la caccia a quella donna.»
«All’esterno potrebbero esserci cose importanti che dovrebbe imparare,» disse Matisse tranquilla. «Cose che hanno a che fare con altre nazioni ed eserciti.»
«L’esterno non ci interessa,» le disse Dashe. Sapeva essere testardo, a volte.
Beh, la maggior parte delle volte, in effetti.
Di fronte alla folla, Galladon parlò. «Bene,» disse. «Quello è l’Aon Daa – l’Aon del potere. Kolo? Ora, dobbiamo esercitarci ad aggiungere la Linea dell’Abisso. Non lo aggiungeremo all’Aon Daa. Non vogliamo aprire buchi nei nostri bei marciapiedi, giusto? Ci eserciteremo invece con l’Aon Rao – quello che non sembra fare nulla d’importante.»
Matisse si accigliò. «Di che cosa sta parlando, Padre?»
Dashe si strinse nelle spalle. «Sembra che Spirito creda che gli Aon adesso possano funzionare, per qualche ragione. Li disegnavamo male, o qualcosa del genere. Anche se non capisco come sia possibile che gli studiosi che li hanno concepiti abbiano dimenticato un’intera linea per ogni Aon.»
Matisse dubitava che gli studiosi avessero mai “concepito” gli Aon. C’era semplicemente qualcosa di troppo… primitivo, in essi. Erano cose della natura. Non erano stati concepiti – non più di quanto fosse stato concepito il vento.
Però non disse nulla. Dashe era gentile e determinato, ma non era molto dotato per lo studio. Il che andava bene a Matisse – era stata la spada di Dashe, in parte, a salvare Nuova Elantris dalla distruzione per mano dei selvaggi. Non c’era guerriero migliore di suo padre in tutta Nuova Elantris.
Eppure, osservò con curiosità mentre Galladon parlava della nuova linea. Era strana, tracciata nella parte inferiore dell’Aon.
E… questo faceva funzionare l’Aon? pensò. Sembrava una semplice correzione. Poteva essere possibile?
Il suono di una gola che si schiariva provenne dalle loro spalle, e loro si girarono; Dashe era pronto a estrarre la spada.
Un Seon fluttuava nell’aria dietro di loro. Non uno di quelli pazzi che fluttuavano follemente su Elantris, ma uno sano di mente, luminoso di una luce piena.
«Ashe!» disse allegramente Matisse.
«Lady Matisse,» le disse Ashe, ondeggiando nell’aria.
«Non sono una lady!» disse lei. «Lo sai.»
«Il titolo mi è sempre parso appropriato, Lady Matisse,» disse lui. «Lord Dashe. Lady Karata è nei paraggi?»
«È nella libreria,» rispose Dashe, allontanando la mano dalla spada.
Libreria? pensò Matisse. Quale libreria?
«Ah,» disse Ashe con la sua voce profonda. «Forse posso consegnare il mio messaggio a te, allora, visto che Lord Galladon sembra essere occupato.»
«Se vuoi,» fece Dashe.
«C’è una nuova spedizione in arrivo, mio lord,» disse Ashe con calma. «Lady Sarene desiderava che tu ne fossi informato in fretta, in quanto è di… natura importante.»
«Cibo?» chiese Matisse.
«No, mia lady,» rispose Ashe. «Armi.»
Dashe drizzò le orecchie. «Veramente?»
«Sì, Lord Dashe,» rispose il Seon.
«Perché ce le manderebbe?» chiese Matisse, accigliandosi.
«La mia signora è preoccupata,» le disse quietamente Ashe. «Sembra che la tensione all’esterno stia crescendo. Ha detto… Beh, vuole che Nuova Elantris sia pronta, se fosse il caso.»
«Radunerò immediatamente degli uomini,» disse Dashe, «e andrò a ritirare le armi.»
Ashe s’inchinò, ad indicare che pensava che questa fosse una buona idea. Mentre suo padre si allontanava, Matisse lanciò un’occhiata al Seon, mentre gli veniva in mente una cosa. Forse…
«Ashe, posso prenderti in prestito per un momento?» gli chiese.
«Certamente, Lady Matisse,» rispose il Seon. «Cosa vi serve?»
«Qualcosa di facile, davvero,» disse Matisse. «Ma potrebbe proprio essere d’aiuto…»
Ashe terminò la sua storia, e Matisse sorrise fra sé, occhieggiando la sagoma addormentata della piccola Riika nel suo giaciglio. la bambina sembrava essere in pace per la prima volta da settimane.
Portare Ashe nel Trespolo dapprima aveva provocato una certa reazione nei bambini che non stavano dormendo. Però, mentre iniziava a parlare, l’istinto di Matisse si era dimostrato corretto. La voce sonora e profonda del Seon aveva calmato i piccoli. Ashe parlava con un tono meravigliosamente tranquillizzante. Udire un racconto da un Seon non aveva solo indotto a dormire la piccola Riika, ma anche il resto dei ritardatari.
Matisse si alzò, stiracchiandosi le gambe, poi annuì verso la porta. Ashe fluttuò dietro di lei, oltrepassando di nuovo il cupo Idotris all’ingresso principale. Stava gettando sassolini ad una lumaca che chissà come era arrivata a Nuova Elantris.
«Mi dispiace prendere così tanto del tuo tempo, Ashe,» disse tranquillamente Matisse quando si furono allontanati a sufficienza da non svegliare i bambini.
«Sciocchezze, Lady Matisse,» le disse Ashe. «Lady Sarene può fare a meno di me per un po’, ritengo. E poi, è bello raccontare di nuovo storie. È passato del tempo da quando la mia signora era una bambina.»
«Sei stato Trasmesso a Lady Sarene quand’era così giovane?» Chiede Matisse, incuriosita.
«Alla sua nascita, mia lady,» rispose Ashe.
Matisse sorrise malinconicamente.
«Avrete il vostro Seon un giorno, ritengo, Lady Matisse,» le disse Ashe.
Matisse piegò il capo. «Cosa te lo fa dire?»
«Beh, c’è stato un tempo in cui quasi nessun Elantriano mancava di un Seon. Sto iniziando a pensare che Lord Spirito possa anche essere in grado di riparare questa città – dopotutto, ha riparato l’AonDor. Se lo fa, vi troveremo un vostro Seon. Forse uno che si chiama Ati. È il vostro Aon, vero?»
«Sì,» disse Matisse. «Significa speranza.»
«Un Aon adatto a voi, credo,» le disse Ashe. «Ora, se i miei compiti qui sono terminati, forse potrei…»
«Matisse!» chiamò una voce.
Matisse trasalì, lanciando un’occhiata al Trespolo, pieno dei suoi occupanti addormentati. Una luce ondeggiava nella notte, venendo giù lungo una strada secondaria – la fonte del grido.
«Matisse?» chiamò di nuovo la voce.
«Zitto, Mareshe!» sibilò Matisse, attraversando tranquillamente la strada dirigendosi dove si trovava l’uomo. «I bambini stanno dormendo!»
«Oh,» disse Mareshe, fermandosi. L’altezzoso Elantriano indossava normali abiti di Nuova Elantris – pantaloni vivaci e camicia – ma la sua l’aveva modificata con un paio di fusciacche che lui credeva rendessero il costume più “artistico”.
«Dov’è quel tuo padre?» le chiese Mareshe.
«Addestra la gente con le spade,» disse Matisse tranquillamente.
«Cosa?» esclamò Mareshe. «Nel mezzo della notte!»
Matisse scrollò le spalle. «Sai com’è fatto Dashe. Una volta che si è messo un’idea in testa…»
«Prima Galladon che si allontana,» brontolò Mareshe, «adesso Dashe se ne va ad agitare spade nella notte. Se solo Lord Spirito tornasse…»
«Galladon se n’è andato?» chiese Matisse, raddrizzandosi.
Mareshe annuì. «Ogni tanto scompare così. Anche Karata. Non mi dicono mai dove sono andati. Sempre così riservati! “Sei al comando, Mareshe,” mi dicono, poi se ne vanno per discutere in segreto senza di me. Ma insomma!» Al che, l’uomo si allontanò, portando con sé la propria lanterna.
Allontanati in segreto, pensò Matisse. Quella libreria che ha menzionato Dashe? Diede un’occhiata ad Ashe, che fluttuava ancora al suo fianco. Forse se lo avesse blandito a sufficienza, lui le avrebbe detto…
In quel momento, iniziarono le urla.
Le grida furono così improvvise, inattese, che Matisse sobbalzò. Girò su sé stessa, cercando di capire da dove provenissero. Sembravano essere iniziate dalla zona anteriore di Nuova Elantris.
«Ashe!» disse lei.
«Sto già andando, Lady Matisse,» disse il Seon, sfrecciando nell’aria, una chiazza luminosa nella notte.
Le grida proseguivano. Distanti, riecheggianti. Matisse rabbrividì, indietreggiando inconsapevolmente. Udì altre cose. Il rumore del metallo contro il metallo.
Si girò verso il Trespolo. Taid, l’adulto che sovrintendeva al Trespolo, era uscito dall’edificio in camicia da notte. Anche nell’oscurità, Matisse riusciva a vedere lo sguardo preoccupato sul suo volto.
«Aspetta qui,» le disse.
«Non lasciarci!» esclamò Idotris, guardandosi intorno spaventato.
«Tornerò,» disse Taid, correndo via.
Matisse e Idotris si guardarono. Gli altri ragazzi che erano stati in servizio di guardia ai bambini erano già andati a casa per la notte. Restavano solo lei e Idotris.
«Ho intenzione di andare con lui,» disse Idotris, seguendo Taid.
«Oh, no che non lo fai,» disse Matisse, afferrandogli il braccio e tirandolo indietro. Distanti, le urla continuavano. Lei guardò verso il Trespolo. «Va’ a svegliare i bambini.»
«Cosa?» disse indignato Idotris. «Dopo tutto quello che abbiamo fatto per metterli a dormire?»
«Fallo,» scattò Matisse. «Falli alzare, e fagli mettere le scarpe.»
Idotris resistette per un momento, poi brontolò qualcosa ed entrò nella stanza. Un attimo dopo, lei lo sentì fare quello che aveva chiesto, svegliando i bambini. Matisse corse verso un edificio dalla parte opposta della strada – uno dei magazzini. Dentro, trovò due lanterne contenenti olio, e selce e acciaio. Si fermò. Cosa sto facendo?
Solo per essere pronti, si disse, rabbrividendo mentre le grida continuavano. Sembravano avvicinarsi. Si precipitò di nuovo dall’altra parte della strada.
«Mia lady!» la chiamò la voce di Ashe. Sollevò lo sguardo e vide che il Seon stava tornando in volo verso di lei. Il suo Aon era così fioco da essere a malapena visibile.
«Mia lady,» le disse Ashe con urgenza. «Soldati, hanno attaccato Nuova Elantris!»
«Cosa?» disse lei, stupefatta.
«Indossano il rosso e sono alti e coi capelli scuri dei Fjordell, mia lady,» le disse. «Ce ne sono centinaia. Alcuni dei vostri soldati stanno combattendo nella parte anteriore della città, ma ce sono troppo pochi. Nuova Elantris è già invasa! Mia lady – i soldati stanno venendo in questa direzione, e frugano negli edifici!»
Matisse rimase immobile, interdetta. No. No, non può accadere. Non qui. Questo è un luogo pacifico. Perfetto.
Fuggivo il mondo esterno. Ho trovato un posto cui appartenere. Non mi può seguire.
«Mia lady!» disse Ashe, terrorizzato. «Quelle urla… io penso… penso che i soldati stiano attaccando quelli che trovano!»
E stanno venendo da questa parte.
Matisse stava immobile, con le lanterne strette nelle dita intorpidite. Era la fine, allora. Dopotutto, cos’avrebbe potuto fare, lei? Quasi una bambina lei stessa, una mendicante, una ragazza senza casa né famiglia. Cos’avrebbe potuto fare?
Mi prendo cura dei bambini. È il mio compito.
È il compito che Lord Spirito mi ha affidato.
«Dobbiamo farli uscire,» disse Matisse, correndo verso il Trespolo. «Sanno dove guardare perché abbiamo ripulito questa sezione di Elantris. La città è enorme – se portiamo via i bambini nella parte sporca, possiamo nasconderli.»
«Sì, mia lady,» disse Ashe.
«Vai a cercare mio padre!» gli disse Matisse. «Digli cosa stiamo facendo.»
Così dicendo, lei entrò nel Trespolo e Ashe fluttuò via nella notte. Dentro, Idotris aveva fatto come gli aveva chiesto, ed i bambini intontiti si stavano infilando le scarpe.
«Veloci, bambini,» disse Matisse
«Cosa succede?» chiese Tiil.
«Dobbiamo andare,» disse al giovane piantagrane. «Tiil, Teor, avrò bisogno del vostro aiuto – voi e tutti gli altri bambini, d’accordo? Dovete cercare di aiutare i piccoli. Continuate a tenerli in movimento, e teneteli in silenzio. D’accordo?»
«Perché?» le chiese Tiil, accigliato. «Cosa sta succedendo?»
«È un’emergenza,» gli disse Matisse. «È tutto quello che ti serve sapere.»
«Perché sei tu al comando?» disse Teor, affiancandosi all’amico, incrociando le braccia.
«Sapete chi è mio padre?» chiese Matisse.
Annuirono.
«Sapete che è un soldato?» chiese loro.
Di nuovo, annuirono.
«Bene, questo fa anche di me un soldato. È ereditario. Lui è un capitano, quindi io sono un capitano. E questo significa che io vi dico cosa fare. Potete essere i miei vice, però, se mi promettete di fare quello che dico.»
I due ragazzini tacquero, poi Tiil annuì. «Ha senso,» disse.
«Bene. Adesso muoviamoci!» disse Matisse.
I ragazzini si mossero, aiutando i bambini più giovani. Matisse iniziò a convogliarli fuori dall’ingresso principale, nelle strade buie. Molti di loro, però, furono colti dal terrore della notte, ed erano troppo spaventati per muoversi.
«Matisse!» sibilò Idotris, avvicinandosi. «Cosa sta succedendo?»
«Ashe dice che Nuova Elantris è sotto attacco,» gli disse Matisse, inginocchiandosi accanto alle sue lanterne. «Dei soldati stanno uccidendo tutti.»
Idotris si fece silenzioso.
Lei accese le lanterne, poi si alzò in piedi. Come si era aspettata, i bambini – anche i piccoli – gravitarono verso la luce, ed il senso di protezione che offriva. Porse una lanterna ad Idotris, ed alla sua luce poté vedere la sua espressione terrorizzata.
«Che cosa facciamo?» le chiese con voce tremante.
«Corriamo,» disse Matisse, precipitandosi fuori dalla stanza.
Ed i bambini li seguirono. Piuttosto che essere lasciati indietro nell’oscurità corsero dietro la luce, con Tiil e Teor che aiutavano i più piccoli, Idotris che cercava di zittire quelli che iniziavano a piangere. Matisse era preoccupata a causa della luce, ma sembrava l’unico modo. Infatti mantennero a malapena i bambini in movimento, guidandoli il più in fretta possibile fuori da Nuova Elantris – che era anche la direzione opposta alle grida, che ora erano spaventosamente vicine.
Questo li allontanò dalla sezione popolata di Nuova Elantris. Matisse aveva sperato d’incappare in qualcuno che li aiutasse mentre si muovevano. Sfortunatamente, quelli che non erano fuori ad esercitarsi con gli Aon erano con suo padre, ad esercitarsi con le armi. Gli unici edifici occupati sarebbero stati quelli che Ashe aveva detto essere stati attaccati. I loro occupanti…
Non ci pensare, si disse Matisse mentre il loro lacero gruppo di cinquanta bambini raggiungeva il margine di Nuova Elantris. Erano quasi al sicuro. Potevano…
Una voce gridò all’improvviso dietro di loro, parlando un’aspra lingua che Matisse non capiva. Girò su sé stessa, guardando oltre le teste dei bambini spaventati. Il centro di Nuova Elantris brillava debolmente. Della luce dei fuochi.
Stava bruciando.
Lì, incorniciata dalle fiamme mortali, c’era una squadra di tre uomini in uniforme rossa. Portavano spade.
Sicuramente non ucciderebbero i bambini, pensò Matisse, le mani che tremavano reggendo la lanterna.
Poi vide il bagliore negli occhi dei soldati. Uno sguardo cupo, pericoloso. Avanzavano verso il suo gruppo. Sì, avrebbero ucciso i bambini. I bambini Elantriani, perlomeno.
«Correte,» disse Matisse con voce tremante. Eppure, sapeva che i bambini non avrebbero mai potuto correre più in fretta di quegli uomini. «Correte! Andate e…»
Improvvisamente, come uscita dal nulla, una sfera di luce sfrecciò dal cielo. Ashe si mosse fra gli uomini, girandogli intorno alla testa, distraendoli. Gli uomini imprecarono, agitando rabbiosi le spade, sollevando lo sguardo al Seon.
Che è il motivo per cui mancarono assolutamente di vedere Dashe caricarli.
Li prese di lato, arrivando da un vicolo buio di Nuova Elantris. Ne abbatté uno, la spada lampeggiante, poi ruotò verso gli altri due mentre questi imprecavano, lasciando perdere il Seon.
Dobbiamo andare! «Muoversi!» li incitò di nuovo, mettendo in moto Idotris e gli altri. I bambini indietreggiarono dal combattimento, uscendo nella notte, seguendo la luce di Idotris. Matisse rimase indietro, girandosi con preoccupazione verso il padre.
Non andava bene. Era un guerriero eccellente, ma i soldati erano stati raggiunti da altri due uomini, e il corpo di Dashe era indebolito in quanto Elantriano. Matisse si fermò, tenendo la lanterna con dita tremanti, incerta sul da farsi. I bambini stavano singhiozzando nel buio dietro di lei, la loro ritirata penosamente lenta. Dashe combatteva coraggiosamente, la sua spada arrugginita rimpiazzata da una che doveva aver mandato Sarene. Spingeva da parte lama dopo lama, ma lo stavano circondando.
Devo fare qualcosa! pensò Matisse, avanzando. In quel momento. Dashe si girò, e lei vide le ferite sul suo viso e sul suo corpo. Lo sguardo di terrore che gli vide negli occhi la raggelò dalla paura.
«Vai,» sussurrò lui, senza voce, ma con le labbra che si muovevano. «Corri!»
Uno dei soldati colpì Dashe al petto con la spada.
«No!» gridò Matisse. Ma quello attirò solamente la loro attenzione mentre Dashe crollava, tremante, sul terreno. Il dolore era diventato troppo intenso per lui.
I soldati la guardarono, quindi vennero avanti. Dashe ne aveva abbattuti alcuni, ma ne restavano tre.
Matisse rimase paralizzata.
«Per piacere, mia lady!» le disse Ashe, fluttuando giù e librandosi al suo fianco. «Devi scappare!»
Padre è morto. No, peggio – è Hoed. Matisse scosse il capo, costringendosi a rimanere vigile. Aveva già assistito a tragedie come mendicante. Poteva andare avanti. Doveva.
Quegli uomini avrebbero trovato i bambini. I bambini erano troppo lenti. A meno che… Alzò lo sguardo al Seon al suo fianco, notando il brillante Aon al suo centro. Significava luce.
«Ashe,» gli disse con urgenza mentre i soldati si avvicinavano. «Trova Idotris là davanti. Digli di spegnere la lanterna, poi porta lui e gli altri in qualche posto sicuro!»
«Un posto sicuro?» le disse Ashe. «Non so se ci sia un posto sicuro.»
«Quella libreria che dicevi,» disse Matisse, pensando in fretta. «Dove si trova?»
«Dritto a nord, mia lady,» rispose Ashe. «In una camera nascosta sotto un edificio squadrato. È segnato con l’Aon Rao.»
Galladon e Karata sono lì,» disse Matisse. «Porta i bambini da loro – Karata saprà cosa fare.»
«Sì,» disse Ashe. «Sì, buona idea.»
«Non dimenticarti della lanterna,» gli disse Matisse mentre volava via. Lei si girò a fronteggiare i soldati che avanzavano. Poi, con dita tremanti, sollevò la mano ed iniziò a disegnare.
La luce esplose dall’aria, seguendo le sue dita. Si costrinse a restare ferma, completando l’Aon nonostante la paura. I soldati si fermarono mentre l’osservavano, poi uno di loro disse qualcosa in una lingua gutturale che presumeva fosse Fjordell. Tornarono ad avanzare.
Matisse terminò l’Aon – l’Aon Ashe, lo stesso all’interno del suo amico Seon. Ma, naturalmente, l’Aon non fece nulla. Rimase appeso lì, come facevano sempre. I soldati avanzarono con decisione, dritti verso di esso.
Sarà meglio che funzioni, pensò Matisse, poi mise le dita dove aveva detto Galladon e tracciò l’ultima linea.
Immediatamente, l’Aon – l’Aon Ashe – iniziò a risplendere di una luce potente proprio di fronte ai volti dei soldati. Gridarono mentre il lampo improvviso di luminosità brillò nei loro occhi, poi imprecarono, incespicando all’indietro. Matisse si chinò ad afferrare la lanterna e corse via.
I soldati le gridarono dietro, poi iniziarono ad inseguirla. E, come i bambini in precedenza, andarono dietro alla luce – la sua luce. Idotris e gli altri non erano tanto lontani – riusciva ancora a vedere le loro ombre spostarsi nella notte – ma i soldati erano stati accecati e non notarono i deboli movimenti, ed Idotris aveva spento la sua luce. L’unica cosa su cui i soldati potevano concentrarsi era la sua lanterna.
Matisse li condusse via, nella notte buia, reggendo la lanterna con dita terrorizzate. Sentiva che l’inseguivano mentre entrava nell’effettiva Elantris. Melma e oscurità sostituirono l’acciottolato pulito di Nuova Elantris, e Matisse dovette smettere di muoversi così rapidamente, per non scivolare e inciampare.
Si affrettò comunque, girando angoli, cercando di stare davanti ai suoi inseguitori. Si sentiva così stanca. Correre era difficile per un Elantriano. Non aveva la forza per correre rapidamente. Stava già iniziando a sentire dentro di sé un forte affaticamento. Non sentiva più nessun inseguimento. Forse…
Girò un angolo e corse contro un paio di soldati in piedi nella notte. Si fermò sbalordita, guardandoli, riconoscendoli da prima.
Sono soldati addestrati, pensò. Ovviamente sanno accerchiare un nemico e tagliargli la fuga! Si girò per correre via, ma uno degli uomini le afferrò un braccio, ridendo e dicendo qualcosa in Fjordell.
Matisse Strillò, lasciando cadere la lanterna. Il soldato incespicò, ma la trattenne.
Pensa! si disse Matisse. Hai solo un attimo. I piedi le scivolarono nel fango. Si fermò, poi si lasciò cadere, scalciando la gamba del suo rapitore.
Contava su una cosa: lei era vissuta ad Elantris. Sapeva come muoversi nella melma e nel fango. Questi soldati, invece, no. Il calcio si rivelò efficace, ed il soldato scivolò immediatamente, incespicando nel suo compagno e cadendo all’indietro sui ciottoli melmosi mentre lasciava andare Matisse.
Lei si rimise in piedi, il suo bell’abbigliamento dai colori vivaci ora macchiato dal fango di Elantris. La gamba le avvampò di un nuovo dolore – si era slogata la caviglia. Era stata così cauta in passato per evirare i peggiori dolori, ma questo era più forte di qualunque cosa si fosse fatta prima. più forte del taglio sulla guancia. La gamba le bruciava con un dolore che riusciva appena a sopportare, e non diminuiva – restava forte. La ferita di un Elantriano non sarebbe mai guarita.
Eppure, si costrinse ad allontanarsi zoppicando. Si muoveva senza pensare, desiderosa solo di allontanarsi dai soldati. Li sentì imprecare, rialzandosi. Lei continuò ad andare, saltellando leggermente. Non si era resa conto di aver proceduto in cerchio finché non vide il bagliore di Nuova Elantris che bruciava di fronte a sé. Era tornata là dov’era partita.
Si fermò. Eccolo lì, Dashe, che giaceva sull’acciottolato. Corse da lui, senza curarsi più dell’inseguimento. Suo padre giaceva ancora con la spada che lo infilzava, e poteva sentirlo sussurrare.
«Corri, Matisse. Corri al sicuro…» Il mantra di un Hoed.
Matisse barcollò e cadde sulle ginocchia. I bambini erano in salvo. Era abbastanza. Ci fu un rumore alle sue spalle, e quando si girò vide un soldato avvicinarsi. Il suo compagno doveva essere andato in un’altra direzione. Però, quest’uomo era sporco di melma, e lo riconobbe. Era quello che aveva preso a calci.
La gamba mi fa così male! pensò. Si girò, stringendo il corpo immobile di Dashe, troppo stanca – e troppo dolorante – per muoversi ancora.
Il soldato l’afferrò per la spalla e la tirò via dal cadavere del padre. La fece ruotare, azione che le causò altri dolori alle braccia.
«Tu dici a me,» le disse con voce pesantemente accentata. «Tu dici a me dove sono andati gli altri bambini.»
Matisse lottò invano. «Non lo so!» disse. Ma lo sapeva. Ashe glielo aveva detto. Perché gli ho chiesto dov’era la libreria?pensò, rimproverandosi. Se non lo sapessi, non potrei dirglielo!
«Tu dici,» disse l’uomo, tenendola con una mano, prendendo il suo coltello da cintura con l’altra. «Tu dici, o ti ferisco. Male.»
Matisse lottò inutilmente. Se i suoi occhi Elantriani avessero potuto piangere, l’avrebbe fatto. Come a dimostrare la sua tesi, il soldato sollevò il coltello davanti a lei. Matisse non era mai stata tanto terrorizzata.
E fu allora che il terreno iniziò a tremare.
L’orizzonte aveva iniziato a schiarirsi con l’arrivo dell’alba, ma quella luce fu oscurata da un’improvvisa esplosione di luce proveniente dal perimetro della città. Il soldato si fermò, guardando il cielo.
All’improvviso, Matisse sentì caldo.
Non si era resa conto di quanto le fosse mancato il calore, quanto si fosse abituata alla frescura stantia di un corpo Elantriano. Tuttavia, il calore sembrava fluirle attraverso, come se qualcuno le avesse iniettato del liquido caldo nelle vene. Rimase senza fiato per la meravigliosa, incredibile sensazione.
Qualcosa era giusto. Qualcosa era meravigliosamente giusto.
Improvvisamente il soldato si girò verso di lei. Piegò il capo, poi si protese e le sfregò rudemente un dito lungo la guancia, dov’era stata ferita tanto tempo prima.
«Guarita?» disse, confuso.
Lei si sentiva meravigliosamente. Si sentiva… il cuore!
L’uomo, all’apparenza confuso, sollevò di nuovo il coltello. «È guarita, ma posso ferirti di nuovo.»
Il suo corpo si sentiva più forte. Però era ancora solo una ragazzina, e lui un soldato addestrato. Lottò, mentre a malapena iniziava a comprendere che la sua pelle non era più chiazzata, ma era diventata argentea. Stava succedendo! Come aveva predetto Ashe! Elantris stava tornando!
E lei stava ancora per morire. Non era giusto! Gridò dalla frustrazione, cercando di divincolarsi. L’ironia sembrava perfetta. La città stava venendo guarita, ma non poteva impedire che questo terribile uomo…»
«Penso che tu abbia dimenticato qualcosa, amico,» disse all’improvviso una voce.
Il soldato si arrestò.
«Se la luce ha guarito lei,» continuò la voce, «allora ha guarito anche me.»
Il soldato gridò di dolore, poi lasciò andare Matisse, incespicando. Lei indietreggiò, e mentre l’uomo terribile crollava, lei riuscì finalmente a vedere chi c’era in piedi dietro di lui: suo padre, che brillava di una luce interiore, la contaminazione rimossa dal suo corpo. Sembrava un dio, argenteo e favoloso.
Gli abiti erano strappati dov’era stato ferito, ma la pelle era guarita. In mano, reggeva la stessa spada che lo aveva infilzato poco prima.
Corse da lui, piangendo – poteva finalmente piangere di nuovo! – e lo strinse in un abbraccio.
«Dove sono gli altri bambini, Matisse?» le chiese lui con urgenza.
«Mi sono presa cura di loro, Padre,» sussurrò lei. «Tutti hanno un compito, e quello è il mio. Io mi prendo cura dei bambini.»
«Interessante,» disse Raoden, «E cos’è successo ai bambini?»
«Li ho condotti alla libreria,» disse Ashe. «Galladon e Karata allora se ne erano già andati – dobbiamo averli mancati mentre tornavano di corsa a Nuova Elantris. Ma ho nascosto i bambini al sicuro, e sono rimasto con loro per tenerli tranquilli. Ero così preoccupato di quello che stava accadendo nella città, ma quei poverini…»
«Capisco,» disse Raoden. «E Matisse… la piccola figlia di Dashe. Non avevo idea di cos’aveva passato.» Raoden sorrise. Aveva dato a Dashe due Seon – quelli i cui padroni erano morti, e che si erano ritrovati senza nessuno da servire una volta recuperata l’intelligenza quando Elantris era stata risanata – come ringraziamento per i suoi servizi a Nuova Elantris. Dashe ne aveva dato uno a sua figlia.
«Quale Seon ha avuto alla fine?» chiese Raoden. «Ati?»
«In effetti, no,» rispose Ashe. «Credo fosse Aeo.»
«Altrettanto appropriato,» disse Raoden, sorridendo e alzandosi mentre la porta si apriva. Sua moglie, la Regina Sarene, entrò, preceduta dal pancione.
«Sono d’accordo,» disse Ashe, librandosi su Sarene.
Aeo. Significava coraggio.
Note dell’Autore
Matisse
Questo racconto ha in realtà un retroscena molto interessante.
Se torniamo indietro al gennaio 2006, troviamo me che stavo frequentando Pemberly (il suo vero nome è Emily, ma passava per Pemberly, online) da circa due mesi. La nostra relazione era ancora piuttosto recente e non eravamo ancora impegnati. (Sebbene io lo volessi. Ero abbastanza certo di volerla sposare, a quel punto.)
Beh, ad uno dei nostri appuntamenti, Pemberly mi raccontò una storia incredibile. Pare che uno dei suoi studenti dell’ottavo grado (terza media, ndt) – una ragazza di nome Matisse – avesse fatto una relazione su Elantris. Ora, Matisse non sapeva che la sua insegnante s’incontrava con me. Non aveva mai saputo che Pemberly mi conosceva. Era solo una di quelle bizzarre coincidenze che capitano solamente per dimostrarci che il mondo è un luogo divertente.
Ora, quando dico relazione, questo non trasmette l’effettiva portata di quello che ha fatto Matisse. Essendo una ragazza intelligente, creativa, lei è andata oltre. Invece di una semplice recensione del libro, lei ha fatto un libro stile-Dragologia suElantris. Questo è sorprendente; ci sono bozzetti e biografie dei personaggi, strisce di stoffa Elantriana pinzata come esempio, sacchettini riempiti di materiali del libro, tutte cose di quel tipo. Un’esperienza totalmente multi sensoriale dedicata al libro, tutta realizzata manualmente. Pemberly me l’ha mostrata, e onestamente era forse la cosa più straordinaria che avessi mai visto. Era ovvio che Matisse aveva amato moltissimo il libro.
Il che mi fece pensare a cosa potevo fare come ringraziamento a sorpresa per Matisse, che non sapeva ancora che la sua insegnante usciva con il suo autore favorito. Avevo avuto quest’idea che, nel profondo, m’intrigava.
Buchi nella Storia
In ogni libro, si prendono decisioni riguardo a cosa inserire e cosa lasciar fuori. Un mucchio di autori parlano della teoria dell’iceberg – che per ogni buon libro ci sono un mucchio di storie e costruzioni di mondi sotto la superficie che l’autore conosce, ma il lettore non scoprirà mai. Queste cose danno peso e fondamenta alla storia che si vede, permettendole di apparire più reale e avvincente perché l’autore ha riflettuto parecchio su ciò che non è reso manifesto.
In Elantris ci sono un paio di questi buchi. Posti dove io sapevo cosa stava accadendo fuori campo, ma avevo deciso di non poterne parlare nel libro. In questo romanzo, c’erano generalmente due motivi per questi buchi. Uno, nei casi in cui non potevo ottenere il punto di vista di un personaggio nel luogo e nel momento giusto; l’organizzazione della struttura a triade mi ha concesso parecchio, ma a volte mi ha anche vincolato. Alla fine del libro, invece, il sistema a triade è stato accantonato di proposito, e quindi avrei potuto mostrare a caso altri punti di vista. Nel caso di ciò che stava accadendo ai bambini in Elantris, tuttavia, ho deciso che stava già accadendo fin troppo nel punto culminante della vicenda, e queste sezioni erano quelle che dovevano essere tagliate.
Quindi sapevo cosa stava succedendo dentro ad Elantris quando arrivò l’attacco dei monaci Dakhor. Dentro di me, sapevo anche che i bambini erano stati salvati e protetti da Dashe e dal Seon Ashe, che avevano impedito fossero uccisi nell’attacco. Non volevo che cadessero come gli altri; Karata si era così impegnata a proteggerli, e permettere ai bambini di non dover soffrire nel massacro a Nuova Elantris fu il mio regalo per lei. Una sorta di compensazione per il suo stesso sacrificio al termine del romanzo.
Speranza di Elantris
Ero impaziente di scrivere un’altra storia su Elantris. A causa della natura dell’editoria, sapevo di non poter fare allora un sequel del libro, e che era molto più sensato pubblicare i romanzi di Mistborn. Tuttavia, il progetto di Matisse mi fornì l’ispirazione che mi serviva per riportare la mia attenzione suElantris. Ho smesso di scrivere Mistborn: Il Pozzo dell’Ascensione ed ho scritto questo racconto di Elantris.
Siccome Matisse mi aveva ispirato, decisi che avrei dato il suo nome ad un personaggio. Sentivo anche che se mi prendevo il tempo di scrivere un breve racconto in quel mondo, volevo presentare un personaggio nuovo piuttosto che raccontare la storia dal punto di vista di Dashe. (Questa sezione sarebbe probabilmente dovuta finire nel romanzo definitivo.) Di conseguenza, era ragionevole scriverla dal punto di vista del personaggio che in seguito avrei proprio chiamato Matisse.
La Matisse del racconto non si comporta come la vera Matisse. Non conosco la vera Matisse; non l’avevo mai incontrata. (Anche se Pemberly me l’Ha descritta così da poter creare un personaggio simile a lei. Matisse era uno degli studenti preferiti di mia moglie, come potete immaginare dai suoi fantastici progetti come quello sul libro di Elantris.)
Dopo aver scritto il racconto, ne ho spedito una copia tramite Pemberly perché lo desse a Matisse come dono e ringraziamento. Posso solo immaginare quanto fosse sorpresa nel consegnare un progetto basato su uno dei suoi libri favoriti, per poi ritrovarsi un breve racconto scritto dall’autore che la include come uno dei personaggi di quel mondo. Questo è il genere di cosetta ingegnosa che si può escogitare ogni tanto in quanto scrittore, e semplicemente non potevo lasciarmi sfuggire l’opportunità.
(Naturalmente, il fatto che avessi appena messo una delle studentesse favorite di Pemberly in un racconto per lei, e poi avessi lasciato che Pemberly le desse il regalo, non mi era sfuggito. Non posso fare a meno di pensare che mi abbia fornito dei punti. Dopotutto, noi abbiamo iniziato ad uscire insieme proprio poco tempo dopo…)
Matisse ci diede come dono di nozze l’originaleElantrisologia che aveva fatto. Viene ancora ad un mucchio delle mie presentazioni, e per quanto posso dire è ancora una delle più impressionanti persone in vita. (Sebbene io sia ben disposto nei confronti di chiunque dica cose belle dei miei libri.)
Conclusione
E così questo è il retroscena. Ora sorge spontanea la domanda, cosa ne penso io del racconto?
Beh, per me è difficile separare il retroscena e la storia del racconto dal testo stesso. Per me, questo racconto è parte della mia storia con Pemberly, ed è intrecciata ad una quantità di emozioni ed esperienze di quella pazza annata che va dall’estate del 2005 all’estate del 2006, quando è stato stampato il mio primo romanzo ed ho incontrato e sposato mia moglie.
Ripensando a questa storia, penso che possa essere un tantino sentimentale. (Come potrebbe fare a meno di esserlo, considerando…?) Trasferisco ai personaggi un sacco delle mie stesse esperienze, e Dashe e Matisse per me sono diventati persone complete e normali. Tuttavia, non sono certo che loro come personaggi ed il loro rapporto giustifichino pienamente l’emozione del racconto.
Spero che non finisca per essere troppo melodrammatico. (Letto al di fuori del contesto del romanzo di Elantris, penso potrebbe esserlo.) L’ho scritto in fretta, e mi dispiace se non è così ricercato o così complesso come avrei altrimenti potuto essere in grado di farlo. Mi rendo conto che non è il più bel lavoro che ho fatto, e certamente non lo suggerirei a nessuno che non avesse letto lo stesso Elantris, mentre la storia non starebbe assolutamente in piedi (emotivamente o come trama) se non avete familiarità con il romanzo. Penso anche che non sia una buona introduzione al mio lavoro.
Ma per quello che è, sono piuttosto soddisfatto del racconto.
Grazie per la lettura!
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